C’è una Roma dove dilaga la povertà alimentare e dove procurarsi cibo fresco e sano è molto difficile. Da Torpignattara a Tor Bella Monaca, passando per Centocelle e arrivando a Cinecittà: sono tre i Municipi di Roma in cui è più arduo accedere a un’alimentazione di qualità. Per motivi economici, soprattutto, ma anche per carenza di punti vendita di alimenti freschi a prezzi giusti. È insomma il quadrante est della città a registrare la maggior parte dei fenomeni di povertà alimentare sul territorio: in queste zone critiche gli abitanti dovrebbero più che raddoppiare il loro reddito per permettersi una dieta sana.
È il dato che emerge con maggiore forza dalla ricerca dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare, promosso da CURSA – Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente e Città metropolitana di Roma Capitale, al centro della discussione dell’evento “Tutti a tavola? Inseriamo il Diritto al Cibo tra i diritti fondamentali dei cittadini”, che si tiene oggi al MACRO di Testaccio. Obiettivo, quello di inserire il diritto al cibo all’interno dello Statuto della Città metropolitana di Roma Capitale e del Comune di Roma, presentando anche ‘Dieci raccomandazioni per i policy maker’. A illustrarle Davide Marino, professore di Economia e Politica Agroalimentare all’Università del Molise e a Roma Tre, e responsabile dell’Osservatorio.
Ne discutono, tra gli altri, Sabrina Alfonsi, Assessora Ambiente e Agricoltura di Roma Capitale, Claudia Pratelli, Assessora alla scuola di Roma Capitale, Marta Bonafoni, Consigliera regionale del Lazio.
Il punto di partenza è appunto la fotografia della Capitale e dei Comuni della Città metropolitana: un punto di partenza con chiaroscuri e soprattutto drammatiche differenze. La quasi totalità dei Comuni della Città Metropolitana presenta un’accessibilità al cibo sano e di qualità “molto bassa”, con quattro “zone critiche”: Poli, Capranica Prenestina, Percile, Vallepietra.
Nel Comune di Roma, le “zone critiche” sono i Municipi V, VI, VII, tutti nel quadrante orientale della città. L’accessibilità “alta” si registra soltanto nei Municipi I, VIII, XII, XV, in altre parole nel centro storico, nei quartieri attorno all’Appia antica e all’Ostiense, Monteverde e Gianicolense, il nord ‘estremo’ della città. Non stupisce che l’unica zona ad accessibilità “molto alta” sia poi tra Parioli e Flaminio, nel II Municipio. Qui, secondo l’Indice di Accessibilità Economica al cibo (una delle metodologie utilizzate dall’Osservatorio), le persone guadagnano il 21% in più rispetto a quanto necessario per permettersi una dieta sana, mentre nelle “zone critiche” gli abitanti dovrebbero integrare il loro reddito del + 115% per avere un’alimentazione di qualità e sostenibile.
“L’Osservatorio, assieme alle associazioni del Terzo Settore, ha elaborato un documento di raccomandazioni politiche per i policy-makers: dieci proposte di innovazione politica per migliorare l’accesso al cibo e il funzionamento del sistema di assistenza alimentare sul territorio di Roma e della Città metropolitana” spiega Davide Marino, coordinatore scientifico dell’Osservatorio.
“La prima proposta, prioritaria allo sviluppo delle altre, riguarda l’inserimento del Diritto al Cibo nello Statuto del Comune di Roma e della Città metropolitana. È un passo fondamentale per trasformare il paradigma da un approccio basato sulla carità e l’assistenzialismo a un approccio basato sul diritto a un’alimentazione sana e sostenibile”.
Se questo è il primo punto del decalogo, quelli che seguono non sono meno importanti. Segue infatti, il tema “Prima i minori”: “Garantire la continuità del diritto ad una sana alimentazione per l’infanzia delle fasce sociali svantaggiate, fornendo un servizio paragonabile a quello della mensa scolastica anche nei periodi in cui non è prevista la frequenza. Questo servizio – fornito dalle stesse mense o da una rete di servizi specifici e/o convenzionati – si baserà su alimenti provenienti da una rete di recupero composta da ristoranti, mense, supermercati e mercati, ma anche dalle aziende locali e dagli stessi orti scolastici”.
Si chiedono poi filiere accessibili, con una rete di produzione e distribuzione sostenuta da fondi pubblici e privati; educazione al cibo e al consumo responsabile; l’eliminazione delle diseguaglianze territoriali per garantire la presenza di negozi e mercati di “qualità” in ogni quartiere. Al punto 6 del decalogo si trova la richiesta di “migliorare l’aiuto” anche con sistemi di tracciabilità per rendere più efficiente ed efficace l’aiuto alimentare alla scala territoriale e di “incentivare l’aiuto” con azioni di recupero del cibo in tutte le strutture pubbliche. Per farlo occorre “migliorare la logistica” con hub infrastrutturali che consentano il recupero, lo stoccaggio, la distribuzione e lo scambio del cibo donato e recuperato ma anche “informare per migliorare l’aiuto” con una campagna educativa per aumentare la solidarietà privata e degli attori economici.
Infine, a punto 10, si chiede di “innovare i bandi” per l’acquisto delle derrate alimentari, in modo da favorire la distribuzione di un cibo che sostenga una corretta alimentazione, bilanciata, culturalmente adeguata, e sostenibile con ricadute positive anche sotto il profilo territoriale (green procurement).