7.2 Insicurezza alimentare: indicatore di accessibilità economica e fisica
La dimensione economica dell’insicurezza alimentare evidenzia una profonda conflittualità sociale nei contesti economicamente sviluppati.
Pensiamo all’Europa che, travolta dalla crisi economica, da elevati tassi di disoccupazione, da un aumento della povertà sia assoluta sia relativa (Maino et al., 2016[1]; Pettenati e Toldo, 2018[2]), nonché da una recente crisi pandemica con un impatto devastante dal punto di vista della salute umana e della sicurezza sociale, ha registrato un incremento nel numero di persone che non riescono ad accedere a un cibo quantitativamente e qualitativamente sufficiente ai propri bisogni nutrizionali e preferenze alimentari (Eurostat, 2020[3]).
Nel 2019 e, quindi, un anno prima dell’inizio della pandemia, in Europa, un cittadino su cinque era a rischio di povertà ed esclusione sociale, con il 6,8% della popolazione europea (quasi 27 milioni di persone) che non poteva permettersi un pasto a base di carne, pesce o l’equivalente vegetariano, ogni due giorni. In Italia, la percentuale era del 21.9% (circa 13 milioni di cittadini).
Le difficoltà economiche portano, infatti, a comprimere la spesa alimentare non soltanto nella quantità (riducendo, quindi, il numero dei pasti consumati giornalmente), ma anche, e soprattutto, nella qualità, con un evidente impatto sulla salute.
Una dieta di qualità è una dieta sana, bilanciata, diversificata e nutriente (FAO, 2020[4]; CREA, 2018[5]; EAT-Lancet, 2019[6]). In letteratura, cresce l’attenzione per la forte compatibilità esistente tra le diete con una bassa impronta ecologica e le diete sane (Sonnino, 2019). Pensiamo, ad esempio, alla doppia piramide elaborata da Barilla Center for Food and Nutrition (2021); o alla dieta elaborata da EAT-Lancet (2019) che raddoppia i consumi di frutta, verdura e legumi, mentre dimezza quelli di zuccheri e carni rosse.
Secondo le stime più recenti (FAO, 2020), le diete sostenibili per l’ambiente e per la salute umana presenterebbero un costo superiore del 60% rispetto a una dieta base; e maggiore di cinque volte rispetto a una dieta con prevalenza di amidacei. Le relazioni tra il costo della dieta sana e le crescenti difficoltà economiche che fronteggiano le persone per accedervi, portano gli studi sulla sicurezza alimentare ad assumere una postura metodologica intenta a risaltare la sua natura multidimensionale, ponendo una particolare enfasi sulla capacità delle persone di procurarsi del cibo sano (Morgan e Sonnino, 2010[7]).
A questo proposito, in letteratura cresce l’interesse per la foodability (Armstrong et al., 2009[8]), intendendo quell’approccio che mira a uno studio della capacità delle persone di accedere a un quantitativo di cibo sano e nutriente. In altre parole, la foodability non solo individua le categorie sociali più fragili, ma anche le aree geografiche e i quartieri caratterizzati da una criticità di accesso alle risorse alimentari presenti sul mercato (Borrelli e Corti, 2019[9]).
In questo paragrafo, l’attenzione si concentra sia sulla capacità economica di accedere a un cibo di qualità, sia sull’esistenza di punti di distribuzione di beni alimentari sul territorio della Città Metropolitana di Roma Capitale, evidenziando eventuali aree di desertificazione alimentare. Prima di entrare nel dettaglio dell’indicatore economico-spaziale di accesso al cibo, il paragrafo 7.2.1 affronta il problema dell’insicurezza alimentare a Roma, con un focus dedicato al settore degli aiuti alimentari.